E dire che più che un ristorante doveva essere una casa, un salotto buono dove ricevere amici. Era partito con questa prospettiva Gianluigi Morini ma, a ben guardare la sua storia, suona quasi come falsa modestia. La strada che l'ha portato all'ex convento dei frati domenicani di Imola è un film dal cast stellare e lui, da cinefilo incallito e studente del centro sperimentale di Roma, non può certo averlo diretto con ingenuità. Si parte con Federico Umberto d'Amato, agente dei servizi segreti e gastronomo quanto basta per scrivere di cucina per l'Espresso, il quale contagiò lo zio di Gianluigi con la passione per la grande cucina francese. Zio Mario, altro personaggio cinematografico, corazziere del re e 007 a sua volta, portò con sé il nipote appena diplomato per un grand tour di Parigi. Alle tavole di personaggi del calibro di Fernand Point, Morini fu sedotto dalla grandeur, ma ammirato per il rispetto e l'orgoglio che dimostravano per i prodotti della loro terra. Un'altra personalità illustre, Gino Veronelli, lo introdurrà alla persona che, fatta la storia della cucina italiana, farà quella del San Domenico: Nino Bergese. Si lasciò convincere per una "consulenza" (dubito che il concetto all'epoca fosse così diffuso) di una settimana, restò sette anni e fece anche la storia di un ragazzo, tale Valentino Marcattilii che ne diventerà l'erede. Ho tralasciato le frequentazioni di conti e marchesi, il colloquio con Fellini, ma credo che già questo basti per far capire l'atmosfera che si respira in questo "salotto" e volevamo che i nostri Amici Gourmet si sentissero parte per un giorno di questa sorprendete pellicola di cui il regista Gianluigi Morini deve ancora scrivere il finale.
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